IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento chiamato all'udienza del 16 aprile 1999 nei confronti di Lo Verso Michele, nato a Partinico il 4 giugno 1939, detenuto nella casa circondariale "Nuovo Complesso" di Rebibbia. Il tribunale, a scioglimento della riserva: O s s e r v a Con ordinanza 23 dicembre 1997 il tribunale di sorveglianza di Roma ha ammesso il detenuto Lo Verso Michele alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari in base all'ormai abrogato (v. art. 3, legge n. 165/1998) art. 47-bis LP e, sostituito, ora dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla pena residua di cui alla sentenza 20 dicembre 1988, tribunale Roma e al provvedimento di cumulo procura Repubblica presso il tribunale Roma n. 221/95 r.c. del 23 giugno 1997. La misura alternativa concessa al Lo Verso per seguire un piano terapeutico presso il Sert della Usl RM/D (cfr. ord. trib. sorv. Roma citata) ha avuto inizio il 24 dicembre 1997 e la sua scadenza era, all'epoca, fissata al 30 dicembre 2000. Successivamente, nel corso della esecuzione della medesima misura, peraltro connotata da un andamento positivo (cfr. rel. CSSA Roma del 30 ottobre 1998 in atti) anche con specifico riguardo al programma riabilitativo seguito (cfr. rel. CSSA Roma del 29 aprile 1998 in atti) il Lo Verso e' stato raggiunto da altro provvedimento di determinazione di pene concorrenti (v. provvedimento cumulo proc. Rep. trib. Roma n. 708/97 r.e. del 28 settembre 1998 includente anche i titoli allora in esecuzione in forma alternativa) che ha elevato la complessiva pena residua da espiare per il condannato ad anni 8, mesi 2 e giorni 7 di reclusione (con decorrenza 16 ottobre 1995 e scadenza al 6 luglio 2003). Sulla scorta di cio' il magistrato di sorveglianza di Roma, con decreto 19 febbraio 1997, ha sospeso ai sensi dell'art. 5, 1-bis LP l'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari poiche', in concreto, al Lo Verso rimaneva da scontare una pena residua superiore agli anni quattro di reclusione, limite - questo - previsto dalla legge (art. 94 d.P.R. n. 309/1990) per la concedibilita' della misura alternativa. E, instauratosi il procedimento avanti questo tribunale ai fini della declaratoria di cessazione della misura, nelle more della fissazione del medesimo - 1 marzo 1999 - la proc. Rep., trib. Roma emetteva ordine (provvisorio) di esecuzione nei confronti del Lo Verso per la pena residua indicata sopra. All'odierna udienza la difesa del condannato ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma contenuta nell'art. 51-bis LP, con specifico riferimento alla misura dell'affidamento in prova in casi particolari ex artt. 90 e 94 d.P.R. n. 309/1990, rispetto agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione. Opina la difesa che la norma in questione (51-bis LP) laddove non prevede nei confronti del condannato che abbia in corso un programma terapeutico, che il limite della pena possa superare gli anni quattro di reclusione stabiliti dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 (cosi' introdotto con la legge 14 luglio 1993, n. 222), si traduce in un danno irreversibile o grave alla salute del condannato stesso costretto alla interruzione di tale piano terapeutico con conseguente palese violazione del principio di uguaglianza sostanziale e lesione del diritto alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Ritiene il collegio che la questione possa ritenersi non manifestamente infondata: tuttavia non sfugge al collegio che, ancorare il presupposto per la concedibilita' della misura de qua ad un limite massimo di pena da scontare - in concreto - dipende, in buona sostanza, da scelte di politica legislativa che il giudice non puo' nel merito sindacare traducendosi, in caso contrario, tale sindacato, in una illegittima ingerenza del potere giurisdizionale nella sfera di competenza del potere legislativo. Sotto altro profilo si ravvisa un contrasto della norma in esame con il dettato costituzionale degli artt. 3, 27, terzo comma, e 32, potendosi tradurre la sua applicazione in una ingiusta interruzione e, dunque, cessazione del trattamento risocializzante gia' positivamente raggiunto dal condannato oltre che di una menomazione del diritto alla salute del medesimo. In altre parole il collegio dubita se in presenza di una misura alternativa esistente e concessa in quanto presupposti un iter penitenziario positivo ed un piano riabilitativo idoneo, possa il trattamento gia' conseguito in tale regime essere arrestato solo per la sopravvenienza di un ulteriore titolo che elevi il limite di pena previsto (con conseguente inammissibilita' della misura alternativa) senza che cio' sia collegabile ad una condotta colpevole o trasgressiva dell'affidato temporalmente successiva alla sua ammissione al regime alternativo e, senza tener conto di eventuali danni che cio' comporterebbe alla salute dell'affidato stesso che - giova sottolineare - ha ottenuto la misura per fini terapeutici. E tale dubbio appare maggiormente alimentato considerando l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale sulla esecuzione della pena intesa come rieducazione del condannato (ex art. 27, terzo comma della Costituzione) in tema di misure alternative. Sulla scorta dei pronunciamenti emessi con le sentenze nn. 306/93, 504/95 e 445/97 (v. da ultimo in modo conforme anche la recentissima sentenza n. 137/99) ed in particolare con l'ultima di queste - in tema di concedibilita' delle alternative ai condannati per reati di cui all'art. 4-bis LP che avessero gia' fruito di permessi premio prima della entrata in vigore della legge n. 356/1992 che con l'art. 15 ha, appunto, introdotto l'art. 4-bis LP - sembra essere assurto a principio generale quello secondo cui e' necessario salvaguardare la progressione trattamentale nei confronti di soggetti che si siano gia' dimostrati meritevoli di risocializzazione. Tale corollario non consentirebbe, se si ritenesse generalmente valido, l'esclusione dalla prosecuzione di misure alternative di quei soggetti che, come nei casi in esame, gia' ammessi alle medesime non potrebbero continuare il percorso trattamentale intrapreso per fatti non riconducibili ad una pericolosita' sociale sopravvenuta e colpevole ma, ricollegabili, per contro, a situazioni o condotte precedenti il trattamento risocializzante gia' ottenuto poiche', "solo un regresso (colpevole n.d.r.) nel percorso trattamentale giustificherebbe un riadeguamento del percorso educativo" (cfr. sentenza n. 445/1997 Corte cost.). Contrariamente argomentando si ha un contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione cosi' come interpretato dalla Corte cost. in quanto per i soggetti che hanno maturato aspettative ulteriori di reinserimento, la esclusione della prosecuzione di una misura alternativa in corso determina un arresto nel percorso rieducativo non giustificato da condotte trasgressive o colpevoli. Di riflesso si ha un contrasto anche con il principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione in quanto si determina una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a chi: anziche' trovarsi, come nel caso di specie, ad espiare una ulteriore condanna che sposti il limite della pena oltre quello previsto dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 durante una misura alternativa in corso, espii la medesima successivamente all'espletamento della prova potendo, in tal caso, per la pena residua, ottenere autonoma ed identica misura (sempreche' ricorrano i presupposti di cui all'art. 94, d.P.R. n. 309/1990). Si avrebbe altresi', una lesione del diritto alla salute del condannato ex art. 32 della Costituzione inteso come principio inderogabile assoluto e prioritario dell'individuo viste la valenza indubbiamente terapeutica che si puo' attribuire alla misura dell'affidamento in prova in casi particolari e la specificita' del trattamento riabilitativo da una condizione di tossicodipendenza e considerate le ripercussioni negative sia sulla salute fisica che psichica del condannato in caso di interruzione dello stesso. Da tutto quanto sopra indicato, attesa la evidente rllevanza della questione alla luce del positivo iter trattamentale del Lo Verso, utile ai fini della prosecuzione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari nei suoi confronti, in presenza di un piano terapeutico sin qui positivamente affrontato, sorge la necessita' di sollecitare un intervento della Corte costituzionale volto a sancire l'illegittimita' costituzionale dell'art. 51-bis dell'ordinamento penitenziario in relazione all'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 per contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma e 32 della Costituzione nella parte in cui non prevede la possibilita' di prosecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari, anche in presenza di una pena da scontare superiore agli anni quattro di reclusione, traducendosi l'interruzione di un positivo piano terapeutico seguito, in un danno grave per la salute del condannato.